Pittura e Fotografia – Michele Catania

La “guerra” fra pittura e fotografia nasce insieme a quest’ultima e non è ancora finita. Per coloro che non si fanno intimorire da una lettura lunghetta, su questo tema pubblico una bella pagina di Michele Catania, che ci racconta di un bel periodo, finito da tempo, in cui la fotografia era ancora in fasce e consentiva un’enorme possibilità di espressione.

 

filippo carcano lezione balloCarcano – Lezione di ballo

 

Quando nel 1839 i primi dagherrotipi fecero la loro comparsa, il panorama economico dell’Europa, che dopo il Congresso di Vienna (1814-1815) aveva visto ristabiliti i confini esistenti tra gli Stati prima delle campagne di Napoleone, era in grande fermento. Nuove scoperte nel campo della scienza e della tecnica, ed un rapido sviluppo industriale avevano portato maggior benessere economico alle masse, con il conseguente emergere di nuovi ceti sociali. Nella pittura, l’uso del dipinto paesaggistico e la ritrattistica (con una solida tradizione di status symbol), riservati per molti secoli esclusivamente alla nobiltà ed a pochi altri eletti, si diffuse rapidamente nella media borghesia, creando un terreno fertile all’avvento della nuova tecnica.
Messa a confronto con la pittura nella fedeltà dell’imitazione ed esattezza dei particolari riprodotti, essa venne largamente utilizzata per sostituire le lunghe pose nei ritratti, nei paesaggi e nelle scene urbane, rivoluzionando e cambiando il corso della sperimentazione pittorica.
Nella ritrattistica, la fotografia, la quale forniva prodotti più accessibili e meno costosi, riscosse un rapido e grande successo internazionale, sottraendo occasioni di lavoro ai pittori; la domanda di ritratti diventò enorme e nacque una nuova professione la quale mise in crisi soprattutto il mondo artistico, che temeva la possibile sostituzione dello strumento all’artista.
Ben presto, con il rivelarsi delle tecniche, apparve però evidente che la fotografia non richiedeva alcuna capacità di disegno o particolare maestria pittorica; chiunque disponendo del materiale idoneo poteva riuscirvi quanto e meglio dello stesso Daguerre. Ci si chiese allora, se dagherrotipi e talbotipie si sarebbero inseriti nel mondo dell’arte sostituendo pittura ed incisione, ed inoltre se la fotografia potesse essere considerata una qualche forma d’arte.
Le risposte, in quei primi anni si orientarono soprattutto nel ridimensionare la portata dell’invenzione da un punto di vista estetico, nel confronto con la pittura tradizionale. Se da un lato la fotografia rappresentava con assoluta precisione il soggetto rappresentato, mancava di quelle qualità che la pittura aveva, in primis il colore; poi l’interpretazione personale del pittore, capace di rendere una maggiore complessità della realtà, che arricchita di tutte quelle sfumature che nessun apparecchio meccanico poteva ancora rendere, lasciava trasparire un mondo infinito di storia, personalità, sentimenti ed emozioni, dove momenti e stagioni diverse potevano essere combinati assieme.
La stampa dell’epoca pubblicò articoli in cui la fotografia veniva suggerita come un utile sussidio, sostitutivo del disegno nell’osservazione della realtà; artisti e critici si espressero sul valore estetico e sui limiti della sua imitazione, circoscrivendone i confini. Pietro Selvatico, dalla cattedra all’Accademia di Venezia, legittimò il suo impiego assegnandogli la funzione di strumento di educazione a vedere. Cesare Masini, accademico a Bologna dal ’45 al ’71, nel 1862 dichiarò che la fotografia deve essere intesa come un servizio dell’arte, ma non sarà mai Arte, poichè mentre la prima crea, essa unicamente riproduce.
Quasi tutti i pittori utilizzarono la “nuova tecnica” come supporto mnemonico delle loro opere, o per indagare in particolare sul chiaroscuro e sulle molteplici varietà della luce; chi per trarne spunto, chi per studio, chi come visione di anteprima dell’opera, ma spesso in gran segreto, temendo di venire criticati.
In Italia, l’utilizzo di immagini fotografiche è documentato per Luigi Mussini (1813-1888), Filippo Palizzi (1819-1899), Domenico Morelli (1823-1901), Gerolamo Induno (1825-1890), Eleuterio Pagliano (1826-1903), Vincenzo Cabianca (1827-1902), Michele Cammarano (1835-1920), Bernardo Celentano (1835-1863), Giuseppe Abbati (1836-1868), Adriano Cecioni (1836-1886), Edoardo Dalbono (1841-1915), Mosè Bianchi (1845-1904), Giuseppe De Nittis (1846-1884), Vincenzo Gemito (1852-1929), Paolo Vetri (1855-1937), per citare solamente alcuni artisti.
La fotografia sviluppo’ un numero sempre maggiore di immagini dalle quali attingere modelli per le proprie opere; divenne consuetudine lo scambiarsi fotografie di opere e di modelli, sia in Italia che all’estero, con la massima attività a Parigi e Londra. Prosperavano professionisti di immagini per i pittori, e album di repertori che affiancavano e sostituivano gli antichi libri di modelli.
Nel 1854 venne fondata a Firenze la Ditta Alinari, la quale dedicò un settore della propria attività alla riproduzione di monumenti, sculture e dipinti, con una vasta serie di cataloghi di materiale iconografico. Non pochi furono i “conservatori” che videro in tutta questa massiva divulgazione, una invadenza e velleità “artistica” della fotografia, la quale a loro detta conduceva ad un degrado e svilimento dell’Arte.
Arcangelo Migliarini, funzionario alle Gallerie fiorentine, fervido sostenitore della pittura, nel 1860 si oppose alle riprese fotografiche Alinari nei musei della città, affermando che anche le più belle fotografie fatte dal vero, risultano prive di anima e non possono essere paragonate nemmeno con quadri di terz’ordine. Nel 1877, Camillo Boito si pronunciò sull’uso della fotografia nel riprodurre monumenti: “… da quando la fotografia s’è fatta abilissima nel cavare il ritratto veridico dei monumenti, paiono diventati più insulsi di prima”.
Non pochi furono gli artisti che si videro criticati per aver fatto uso di essa.
Il milanese Filippo Carcano (1840-1911), considerato il caposcuola del Naturalismo lombardo, venne contestato per aver utilizzato delle immagini fotografiche nella realizzazione del dipinto Una lezione di ballo, esposta a Brera nel 1865.
Il Ponte Vecchio di Telemaco Signorini, all’Esposizione Nazionale di Torino del 1880, venne giudicato un’imitazione fotografica, carente di carattere.
Telemaco Signorini non solamente utilizzava la fotografia, ma non ne faceva mistero, tanto da aver dichiarato nel 1874 in Cose d’arte: “…La macchia [… ] nacque nel 1855, da tre artisti e non dei peggiori in Italia, coadiuvata dalla fotografia, invenzione che non disonora poi il nostro secolo e non ha colpa nessuna se qualcuno decade in arte abusandone”. Certamente il confine tra un uso lecito (secondo i parametri dell’epoca), ed un eventuale abuso della tecnica, era opinabile ed ancor più, difficilmente dimostrabile.
Nella fotografia si iniziano ad elaborare diverse tecniche per colorare, verniciare e sfumare le immagini, utilizzando grafite, colori trasparenti e olio, spesso con il risultato di immagini posticce e di dubbio gusto. Si interviene anche in fase di sviluppo e stampa con effetti di sfocato, viraggi e trasparenze.
In Italia intanto, il Romanticismo del Carnovali e dell’Hayez, dopo essersi diffuso in Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia, Toscana ed a Roma, aveva già sperimentato nuove direzioni di ricerca e cedeva il passo al Purismo di Antonio Bianchini ed al Realismo di Courbet.
Per i pittori realisti, i quali ponevano la massima attenzione alla descrizione minuziosa dei particolari, i temi e soggetti tratti dalla realtà quotidiana non potevano avere una qualsiasi idealizzazione, come avveniva nel periodo precedente del Romanticismo. L’interesse per la contemporaneità, esplicatesi attraverso l’osservazione della realtà e la sua rappresentazione, e fino ad allora prevalentemente destinata alla descrizione di personaggi straordinari o di nature idealizzate, andò mutando; fecero la loro comparsa le persone comuni nelle loro attività quotidiane, il paesaggio urbano e l’attività agraria.
In Italia numerosi furono i fotografi provenienti dalla pittura: Gioacchino Altobelli, Luigi Sacchi, Stefano Stampa, Pietro Poppi, Luigi Mussini, Giuseppe Ambrosetti, Michele Danesi, Carlo Simelli, Aurelio Tiratelli (dedito alla pittura e fotografia nella campagna romana).
Il Vedutismo, il quale fu tra i primi campi d’applicazione del dagherrotipo e del calotipo, contribuiva alla documentazione del territorio ed ampliava le conoscenze geografiche del pubblico, divenendo un valido strumento di alfabetizzazione visiva.
Una maggiore distinzione si fece in atto tra pittura e fotografia, con l’avanzamento del “vero” nella cultura pittorica, e, in quella fotografica, con il perfezionamento tecnico delle attrezzature e dei materiali sensibili. Alle immagini di alta definizione e uniche del dagherrotipo si affiancò nel 1841 il calotipo, che se meno incisivo nei dettagli, era ricco di densità chiaroscurale e, cosa non da poco, riproducibile in più copie. Nel 1848 si introdusse il processo all’albumina, nel 1851 il collodio; si abbassarono progressivamente i tempi di esposizione fino ad arrivare all’istantanea.
Nel 1871 venne messo a punto il processo negativo alla gelatina bromuro d’argento che sostituì il collodio, nel 1888 entrò in circolazione la prima macchina fotografica con pellicola su rullo. Si venne progressivamente a innescare un processo di scambio, con fotografie che si ispiravano ai dipinti ed erano studiate dagli artisti, e per la produzione illustrativa di quadri e disegni. La fotografia imitava il linguaggio della pittura, e la pittura cercava di utilizzare la fotografia da un punto di studio e di controllo dell’immagine. La nuova invenzione costringeva i pittori alla ricerca di un linguaggio nuovo, in cui l’imitazione accurata, l’esattezza del dettaglio e della prospettiva, così ammirati prima della fotografia, venivano meno.
Nell’arte pittorica, dalle esperienze del Romanticismo e del Realismo, che avevano rotto con la tradizione accademica, nacque l’Impressionismo, in cui decadeva l’importanza del soggetto, portando l’attenzione al colore ed alla soggettività dell’artista, le cui emozioni andavano esaltate e non più contenute.
Il mondo fotografico veniva coinvolto da quei cambiamenti che dovevano portare la pittura dall’impressionismo al divisionismo, al cubismo, al futurismo, all’astrazione. Dopo aver utilizzato, durante il periodo preraffaellita, il “combination printing” il quale consentiva di realizzare vaste composizioni allegoriche, e lo “sfumato” che si accostava alla pittura degli impressionisti, la fotografia iniziò — grazie al miglioramento delle tecnologie fotografiche — a comprendere ed utilizzare il grande potenziale che si celava nei procedimenti di ingrandimento e in quello di fissare il movimento con l’istantanea.

Michele Catania