Estetica industriale
Aree industriali ed imprevedibili visioni laterali…
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Un caso passare di là e poterne fotografare la fine. Lo faccio a lungo, mentre anche altri si fermano. Dopo un po’ siamo un gruppo silenzioso, nell’aria solo i click e i lamenti della pietra.
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“Specchio di pioggia e asfalto, vi naviga dentro il cielo” – Cristina Donà.
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Questa dignitosa famiglia di lampioni a passeggio rende più bello il bel porto di Marina di Ragusa.
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Poteva immaginare l’orgoglioso gestore di questa segheria che questi cavi elettrici mi attiravano più della superba levigatrice da 5 tonnellate?
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Ci vuole fortuna! Vagando per far passare l’ora che deve passare, di colpo resto senza fiato: questi acrobati, senza protezione, stanno tirando su una chiesa!
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Questi operai non volevano che li fotografassi. Appena scoperto me ed il 70-300, si sono subito mimetizzati, nero su nero, dietro i pilastri. Ma troppo tardi!
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Su questa non so cosa scrivere. S’è presentata inattesa sul monitor, non ricordo d’averla fatta, nè dove, ma s’è subito imposta. Potevo escluderla?
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Questa foto mi piace x il bn, il minimalismo, l’incrocio di linee. Ma amo di più il ricordo di come, per farla, abbia rischiato la vita, a cavallo di un cavalcavia.
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Ex cartiera, darioargentiana. Noto subito che da una fossa esce fumo; chi ha dato fuoco? Opto per una ritirata con virile fischiettio, ma questa ragnatela mi ridà 5″ di coraggio.
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Entro in un’ex segheria, al solito curiosità-prudenza 1-0. Di colpo mi sento osservato. Tachicardia! Ma è solo un tubo-occhio che così entra inconsapevole in un progetto fotografico.
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Vietato entrare! Io mi rassegno, la mia D700 no e, senza dirmi niente, fuori, in territorio franco, ruba alcune geometrie davvero niente male.
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La noia m’annoia. Io e la D700 ci guardiamo intorno… ci sarà qualcosa di cliccabile in zona? Un lavavetri in bilico al 3° piano di una ditta in cui ci intrufoliamo, ci da ragione.
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Non ho spostato niente, la scena era già composta, in mia attesa da chissà quanto (sarà ancora là, immutata). Ho solo aspettato una ventina di minuti che il sole illuminasse il casco.
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Capannone della foto precedente. Dalle finestre distrutte entra il raggio che illumina il casco giallo. Il taglio rende bene quello che vedevo, il colore quello che provavo.
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I piccioni, padroni indiscussi delle strutture dismesse, dominano anche in quelle attive. Questi erano del tutto a loro agio nel frastuono e nel caldo sahariano dell’argillificio.
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Non è istintivo capire questa foto, spesso provoca mimiche a forma di punto interrogativo. Presi dal basso, sono una grondaia e 2 condensatori in ceramica, quelli che sostenevano le linee elettriche.
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Leone ha reso noti splendidi scorci iblei, muri a secco e trazzere popolate da ficodindia, contadini, muli e greggi. Ma gli Iblei offrono anche scorci che, di norma, i fotografi non notano. Di norma…
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L’Uomo-rete discende dall’Uomo-ragno. Come lui s’arrampica su pareti verticali e risolve enigmi. Sul costume blu ha la scritta FFSS”, per armi ha cacciaviti e pinze. Teatro d’azione, la Stazione di Catania.
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Bei silos, nuovi, lucidi, possenti, qualcuno, sorridendo, dice fallici. Io pazientemente attendo di fotografarli mentre decollano.
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Altra foto criticata: “C’è l’altra, doppio inutile, basta silos, ecc.”. Ma io non penso ai silos, mi colpisce l’umile lampione che s’aggira fra quei giganti, forse inchinandosi ad essi, certo invidiandoli.
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“Non ci credo!” ho pensato, guardando da un ponte quell’assurdo oceano di parabrezza, cofani e colori. Anche oggi, vedendo la foto, molti pensano a Photoshop. Io vorrei solo identificare il modello d’auto.
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Un grosso uccello nero, hitchcockiano, assorto nel presidio del Suo silos. Mi prende un’ansia strana, mentre lo fotografo. Al click volge di scatto il capo verso me, un attimo, e vola via. Subito volo via anch’io.
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Ogni tanto passo a trovare il Partenope ormeggiato a Catania. Di pomeriggio trovo questi gabbiani che riposano su una gomena, agorà rettilinea e sottile per frequentare la quale non si deve soffrire di vertigini.
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Le pale eoliche sono ormai scontate come i tramonti. Che sfida per me, che perdo il sonno se non trovo un modo mio di raccontare. I punti neri sulla pala sono lumache.
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Arrampicarmi fra i containers è stata una reazione al claustrofobico corridoio ed alle masse che lo delimitavano. Indecifrabile la mimica di G., penso si chiedesse cosa si fa in caso di traumi e fratture.
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Il porto di Catania non delude mai. Non è permesso fotografare, ma di norma riesco, dialetticamente, ad evitare l’arresto. L’informale presenza di G. amalgama i disordinati elementi della composizione.
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Ho l’allergia ai Centri Commerciali, masse faraoniche di oggetti decontestualizzati, categorizzati e adorati. Chi ci va in ferie, chi in luna di miele, a me viene l’orticaria! Estrarne questa foto mi evita l’antistaminico.
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Avrei detto a G. “fotografa tu, mi rotolo io”, se il risultato fosse stato simile. L’argilla è rotonda, leggera, è piacevole scivolarvi sopra e ricoprirsene. Salvo poi ritrovarsela per giorni nei posti più improbabili.
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Alfredo ci guida per l’argillificio. E’ colto, simpatico, sono ore piacevoli. Ma quel giorno cala la produttività, troppo distraente per gli operai l’improbabile, innaturale, ma gradita presenza di G..
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Scena: Alfredo parla a G., G. ascolta guardandolo e gli operai guardano G., non ascoltando. Tutti, preoccupati, ogni tanto guardano me, ipnotizzato davanti a questo vortice. In realtà sto concependo quest’immagine.
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Come raccontare in una foto l’opprimente sensazione dell’aria oltre i 50° che, entrando a fatica nei polmoni, ti fa empatizzare subito con i nomadi del deserto?
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Un razzo sdraiato, impegnato in una ipnorotazione che imprigiona lo sguardo. Mette soggezione, ma è solo una fornace, raffigurata ovunque. Più eccitante cercarne prospettive inedite.
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Sera rovente, una luna gigante come modella, io atipicamente romantico… Devo solo debanalizzarla ed il porto di Catania pare là apposta (sempre non sia proibito anche fotografare le lune piene).
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Da bambino passavo spesso accanto alla raffineria di Gela. Non vedevo l’ora di lasciarmi alle spalle quella foresta stregata. Ho provato, con nebbie mattutine e b/n, a comunicare quelle sensazioni infantili.
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E’ difficile identificare il soggetto; il titolo potrebbe aiutare i più cosmopoliti, ma finora ho sempre dovuto spiegarla. E’ il
ponte superiore di una nave da crociera.
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FOTOQUIZ: Si gioca in 2, io contro lo sfidante. Non serve arbitro e la sfida dura 3 minuti. Scopo del gioco è individuare il soggetto della foto. Una stampa in regalo a chi riesce (non è vero!).
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Ex-segheria. Il telo che fermava gli schizzi d’acqua durante il taglio delle pietre è così disfatto da non fermare più neanche la luce del sole. Meglio immortalarlo prima che si dissolva.
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Sarebbe un laghetto da gita con bimbi e cane, se convivesse con una raffineria, invisibile, ma ben presente alla sua destra. Pur avvelenata, la sua natura gentile sa ancora offrire un’immagine da conservare.
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“La discesa di Aclà a Floristella” è un film girato nella miniera di Floristella, oggi Parco Minerario. La visita è gratuita, il personale gentile e preparato… Peccato sia raramente impegnato.
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Sui Nebrodi, occhi, mente e fotocamera ubriache di natura. Questa ferita nella montagna è come un forte rumore che al mattino mi separi dal sogno. Fotografarla stempera il fastidio.
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Fa sentire piccoli quest’altissimo cancello, nel catanese. L’attività è ferma, ma questo muro di rettangoli saldati trasmette ancora l’orgoglio di chi l’ha voluto. Bubble Style è lo stile writer che la decora.
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Le mie auto sono sfortunate, soffrono di mali oscuri che ai meccanici fanno perdere il sonno ed a me ore in controlli. Ci guadagna la fotografia, rimedio personale alla noia. Salone Ford.
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Scontro col mio stampatore: “Scontata/ce n’é migliaia/è più bella questa/file scarso/toh, s’è cancellato”. Ma è storia vecchia, chi paga decide.