Tra fauni ed unicorni
Non ho competenze tecniche per capire come Gino Taranto abbia realizzato queste nuove magie. Lui ha provato, m’ha chiarito come Photoshop non c’entri, m’ha parlato di scatti multipli, ma non c’è verso, resto sordo… Sono invece i miei occhi a raccontarmi e sorprendermi, davanti ad immagini che spingono chi guarda ad abbandonarsi per fede ai giochi illusionistici che la vista percepisce, per poi sguinzagliare sequenze di libere associazioni che si lasciano alle spalle ogni tecnica. Ne emergono paesaggi sognanti, nei quali sembra stiano per irrompere figure mitiche, compagne antiche del nostro immaginario, sinfonie di silenzi suonate da alberi spogli che ricordano quanto il tacere e la ricerca dell’essenziale facciano bene alla nostra vita, ingolfata da lustrini, rumori e suoni superflui. Poche foglie, rami secchi (così s’intitolava uno degli ultimi libri di Mario Soldati, legato ai piaceri del vivere ma che, da anziano…), che disegnano geometrie sempre nuove, scarnificate, spiritualizzate. E poi colori, qua e là vividi, il più delle volte nebulosi, un po’ Van Gogh, un po’ Monet: suggerimenti, trasalimenti, abbandoni… Immagini legate al gioco del rovescio, simmetrie che s’impongono, impaginazioni speculari che potrebbero rivelarsi macchie di Rorschach. Questo e altro sta alla base di questo lavoro, che ci apre anche altre pagine, legate al vissuto quotidiano e, perché no, storico che attraversiamo: rami e tronchi che simulano abbracci accoglienti; ombre in cui sfuma ogni certezza; rameggi slanciati verso un cielo; giochi di nuvole che sfioccano, in alto, nel regno della divina indifferenza; ragnatele di tronchi e rami, reti di corrispondenze; rami-vortici irrorati di luce tenue; lucertole stortigne e mineralizzate che forse sono soltanto alberi; reticoli di luce filtrante fra tronchi; una corona di foglie che spalanca un occhio di cielo; rami che ci illudono di essere acque; cieli che nelle acque si ribaltano, o viceversa, chissà… E infine un’altra sillaba di saggezza che Gino pronuncia per noi, col suo obiettivo sempre più soggettivo: gli scatti multipli non metaforizzano forse il tornare indietro, sul fotogramma, su se stessi, il ripensamento? Il ripensamento che, come scelta, non è emblema di debolezza, ma di saggia riflessione; ripensamento come ripiegamento, ritorno, recupero. E anche riflessione allo specchio: perché lo specchio ci riporta a quell’io che è un altro. E via moltiplicando…
Giuseppe Traina – Ottobre 2019